A PROPOSITO DEI CAMPI FLEGREI
I Campi Flegrei sono una tappa turistica imperdibile per chi si reca a Napoli, ma sono anche un incubo geofisico che la maggior parte degli italiani ignora (al contrario degli stranieri!), a causa, ovviamente della solita “politica arruffona e irresponsabile” e di una plateale incuria da parte delle autorità di sicurezza e di gestione del territorio.
I Campi Flegrei sono, in realtà, un antico e terrificante vulcano, dalle caratteristiche
morfologiche particolari, tanto da definirlo “supervulcano”, coi suoi gemelli, il lago Toba-Indonesia, la caldera di Yellowstone-Usa e la Caldera Aniakchak-Alaska (ma gli Usa ne hanno altri tre: Long Valley, Mazama e Valle Grande!). Non ha una montagna che lo identifica, ma una caldera, cioè una bocca gigantesca (i Campi Flegrei hanno un’area di 450 km2!), che 39.000 anni fa esplose, eruttando qualcosa come 67km3 di materiali lavici (il Vesuvio ne eruttò a Pompei 8km3!), lanciando una colonna di cenere fino a 38 km. di altezza, che poi si irradiò fino a coprire metà della penisola, i Balcani, l’Europa Centrale fino all’Ucraina e agli Urali: estinguendo, secondo la moderna paleontologia, l’Uomo di Neanderthal.
L’eruzione più recente, tuttavia, che interessò, fortunatamente, una parte minima della caldera, risale al 1538, ed è ancora visibile nei pressi del Monte Novo. Monitorata attentamente dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la caldera, tuttavia, per la sua stessa conformazione che non permette l’intrusione di apparecchiature di controllo (ogni scavo profondo sarebbe una sfida allo stesso bradisismo lavico, che fa aumentare e diminuire la crosta terrestre fino a 5-6 metri, come testimoniano le rovine dell’antica città romana di Bahia!), negli ultimi mesi ha dato forti segnali di instabilità, con terremoti attorno al 4° grado (avvertiti dalla popolazione), e con una presumibile salita del magma fino a circa 3 chilometri.
Queste cifre sembrano tranquillizanti, ma non lo sono affatto: tutta l’Italia meridionale, in realtà, è un crogiuolo di vulcanesimo, sia di superficie che sottacqua: Vesuvio, Etna, Vulcano, Stromboli, Campi Flegrei, Marsili (il più grande vulcano sottomarino d’Europa, attivo!), e il mare magmatico che abbiamo sotto i nostri piedi è in continua ebollizione: e questo ce lo certificano i terremoti disastrosi, come quello del Centro Italia, quello turco-siriano, quello marocchino, i più recenti.
Se i Campi Flegrei eruttassero, si può solo immaginare le dimensioni del disastro: da decine e decine di anni la zona è stata utilizzata a fini di espansione urbanistica, e nonostante i segni premonitori del pericolo (sui Campi giacciono almeno una decina di piccoli vulcani attivi, tra cui il più famoso è la Solfatara), nonostante tutto, la zona è iper-popolata da circa 3,5 milioni di persone, tutte interessate al disastro, visto che la caldera si estende fino alla parte sud-occidentale di Napoli, Bagnoli, Pozzuoli, con tutta la Baia, fino ad Ischia! Pensate che ad un palmo dai Flegrei sorge l’Accademia dell’Aereonautica!
La Protezione Civile, e, abbiano visto l’INGV, in realtà sono impotenti: il primo non ha assolutamente i mezzi per poter portare in salvo neppure il primo milione di abitanti, quelli che vivono e lavorano “sulla caldera”; né è in gradi di formulare un piano adatto a questo tipo di evento catastrofico, se non quello che ricopia, erroneamente, il piano di evacuazione da una eventuale eruzione vesuviana (anche questa probabile e non certo auspicabile, se si pensa che dal 1944, quando il vulcano esplose, e furono gli alleati, sbarcati da poco a Salerno, a salvare almeno duemila persone, la popolazione sulle pendici del cratere è arrivata ad oltre 600.000 abitanti!). L’Istituto, come abbiamo visto, sarebbe in grado di avvertire (con un anticipo di non più di mezza giornata) l’eruzione vesuviana, ma non quella flegrea.
E’ stato calcolato che un’eventuale esplosione freatica (mista di acqua e lava) vedrebbe l’Italia spaccata a metà, e a causa delle correnti aeree sarebbe la parte centro settentrionale ad essere più colpita, con una nube piroclastica alta 1,5 chilometri, che invaderebbe tutta la Campania, Lazio Abruzzo, Marche, Toscana ed Emilia, scalando in parte l’Appennino; attraverserebbe poi l’Adriatico verso i Balcani, ad una velocità di 500 chilometri l’ora, lasciandosi dietro solo cenere, destinata compattarsi fino a 100 metri di spessore (la cosiddetta ignimbrite gialla ritrovata sotto la citta di Napoli e fino in Calabria!).
Probabilmente sarebbe la fine del nostro Paese, e un colpo grosso anche per l’Europa. La speranza sta esclusivamente sulla forza del mare, che, 15.ooo anni fa, durante una nuova mega-eruzione, invase parte della caldera, e la quietò. Ma non sappiamo a che punto è l’enorme pressione magmatica che continua a far sobbalzare la zona: tutto potrebbe accadere nello spazio di un mattino, e ognuno di noi dovrebbe cominciare o a pregare o a capire finalmente che chi ci sovrasta non sono i capricci della politica mondiale, ma la natura, che non transige alcun compromesso.
(Cfr. Riccardo Scagnoli, Anno 2030 d.C. Ed. Eracle, Amazon Libri)